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citrì. Adagio Biagio, non precipitate il giudizio così che il gran filosofo Cartesio vuol altrimenti, e poi lo stile che tra gentili Persone si usa v’obbliga quasi ad avermi fede, e dare ad ogni mia cosa con tutta riverenza il passaggio, come quello spadacino da frittelle del Capitan Coluzzo concedeva il libero andirivieni a’ venti. Io non per tanto fo in su le dita mie ragioni così: che la sedia sopra la quale io siedo, il tavolino al quale agiatamente m’appoggio, e l’orrevole pasto che da voi, Onorandi Agiati miei, con istrabocchevole gentilezza, all’Agiatissima mia Persona furono assegnati, creder mi fanno d’esser, qual altro Cesare, un Monarca Dittatore di Leggi; e perciò dopo avervi con una lunga salmeria d’inchini e baciabassi mandata avanti, la discorro a questa foggia. Non tutte le cose che sotto l’ampio Cielo su di questa bassa terra si fanno, avere capo, ed a ciò avere la natura stessa qual provida madre accortamente riparato; poiché se tanti capi ci fossero, che non sonovi, troppo più l’un con l’altro correbbono rischio d’accozzare insieme, ed alla fine tanto e forse mille volte altrettanto cozzando, altro da tante urte non nascerebbe che un male infinito; e se il Mosca vuole altrimenti, cancher gli venga; ed intanto che se lo divora, coll’autorità alla mano vel fo vedere. Questa Leggenda, che io innanzi a voi, Leggiadri Compagni, penso produrre, ella è appunto una di quelle cose che al mondo vengono senza capo, e che ciò

sia