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Novella VIII


Letta in Accademia a’ 31 d’Agosto 1751, Sotto il Reggimento di Messer Ottone.

Messer Agiatissimo, che io v’amo tanto quanto il maggiore de’ miei Fratelli, leggiadro caso m’è accaduto, che quasi a me stessa nol crederei, se non che io ne fui testimonia, e perciò in coscienza sono tenuta di credermi, e poi vedete che s’io a me da me non presto fede, quali inconvenienti nascer ponno. Stendete dunque gli orecchi acuti benbenone, ed intanto ch’egli m’è venuto alla mente fresco fresco, lasciate ch’io vel narri. Voi il mio costume ben sapete, che soglio, quando a me piace, tutta sola starmi in camera, e quando non, da quella uscire, e talvolta dormire, e se la faccenda non mi garba, il più delle fiate vegliare, e dar di piglio a’ donneschi lavori, ora l’ago ed ora il fuso volteggiando, e talor, annojata di questi piatti, ricorrere ad altre vivande, cioè ad alcuno di que’ libricciuoli che appo l’Agiata mia persona pacificamente tutti polverosi dormono. Eziandio alla penna con tre dita m’accosto e questa, se non ha voglia di schiccherare, come vorrei, fo come sua Signoria vuole, e ciò per non piatire, che ogni litigio hollo od almeno vorrei averlo, per sempre da me sbandeggiato, che più dell’oro io soglio estimar la pace e quiete dell’animo.

Ora appunto mentre che, per

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