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92 al polo australe in velocipede


70° 30' di latitudine e 135° di longitudine secondo Duperrey, non si può basarsi con certezza sulle indicazioni della bussola, poichè questa, per l’attrazione magnetica sbaglia e sovente gli aghi impazziscono, dando direzioni contraddittorie. Così, quando i nebbioni impediscono ai naviganti di fare il punto con gli ottanti per avere la longitudine e la latitudine, le navi sono costrette a procedere a tentoni.

In tale situazione si trovava appunto la Stella Polare, la quale s’avanzava senza avere una rotta determinata, col grave pericolo di trovarsi improvvisamente addosso a qualche isola delle Shetland australi.

Alle due del mattino, il nebbione era così fitto che non ci si vedeva a quattro passi di distanza. Scendeva a ondate sempre più dense, imprigionando il fumo che irrompeva dalla ciminiera, il quale si addensava sulla coperta della nave accrescendo l’oscurità.

Il capitano Bak aveva fatto accendere due lampade a magnesio munite di potenti riflettori, ma quella luce somigliante a quella che producono le lampade elettriche, non si disperdeva e restava, come il fumo, imprigionata fra quella pesante umidità.

Il pericolo intanto cresceva. Al largo si udivano sempre più frequenti i cupi cozzi delle montagne di ghiaccio, i lunghi scricchiolii dei piccoli banchi e di quando in quando dei tonfi orribili, che annunciavano la caduta di qualche colosso. Allora delle ondate spumeggianti correvano fra il nebbione e venivano a infrangersi con paurosi muggiti contro i fianchi della nave. Alle tre del mattino, fu veduto uno di quei colossi a breve distanza dal tribordo. Fu un momento d’inesprimibile angoscia per tutto l’equipaggio, il quale si trovava in coperta armato di buttafuori.