Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. I.djvu/35

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il maelstroom 33


— Vi prometto che lo farò.

— Grazie, e se tornerò vivo alla superficie della terra ti ricompenserò largamente.

— Addio signore e che Dio vi protegga.

— Addio amico. Dà il segnale.

La corda cominciò a svolgersi e l’ingegnere scese nell’orribile abisso che schiudevasi sotto i suoi piedi.

Le pareti erano scabrose, screpolate in mille guise, ora rientranti ed ora sporgenti in modo tale che l’ingegnere vi urtava contro lacerandosi le vesti. Dal fondo veniva su dei sordi boati che man mano discendeva diventavano ognor più formidabili. Quantunque possedesse un coraggio più che straordinario, nel trovarsi sospeso a quella fune, circondato da una fitta tenebra che la lampada appena appena rompeva e stretto fra quelle roccie aguzze, provò un brivido.

Guardò giù. In fondo in fondo tre punti luminosi brillavano ed attorno ad essi scorse tre forme umane appena distinte e immobili. Erano senza dubbio i suoi compagni che seguivano ansiosamente la spaventevole discesa.

A quaranta passi di profondità i suoi piedi si posarono su di una specie di piattaforma che avanzavasi nel mezzo del pozzo. Quattro oscure grotte erano scavate nel fondo e ne uscivano strani rumori: pareva che dei torrenti impetuosi scorressero là entro. Con un piede si spinse al largo e continuò a scendere. A cento altri piedi di profondità vide uscire da un immane crepaccio una colonna d’acqua la quale slanciavasi furiosamente nel fondo dell’abisso. Il fracasso era tale che pareva che le rupi si sprofondassero e l’impeto così violento che la fiamma della lampada minacciava di spegnersi.