Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. I.djvu/42

Da Wikisource.
40 capitolo v.


— Ed è ben per non morire asfissiati che ho portato con me degli apparati Rouquayrol.

— E come lotteremo contro le lave?

— Non lo so, ma passeremo, te lo assicuro, Burthon. Del resto, se sono passati degli Indiani, non so perchè non dovremo passar noi.

— E credete....

— Zitto, disse l’ingegnere. Cos’è questo fragore?

— Attenzione! gridò O’Connor che stava ritto a prua esaminando la corrente. Bada alla barra, Morgan.

— Che succede? chiese sir John avanzandosi verso prua.

— Vi sono dei frangenti, rispose il marinaio.

— Si vedono?

— No, ma sono certo di non ingannarmi. La corrente si rompe con grande furia.

A prua si udiva un formidabile muggito. Gli echi delle caverne ripetevano quel fragore con tale intensità da credere che due o trecento passi più innanzi ci fosse qualche grande cateratta.

— Prendete i remi, disse l’ingegnere, sporgendo innanzi una lampada. Quantunque il battello sia duro come una roccia, un urto può essere fatale. Ehi! Morgan, arresta il tuo elice!

Il fragore era diventato allora così formidabile, che copriva la voce degli uomini. Alla luce delle lampade, a tribordo e a babordo scorgevansi confusamente delle rocce mostruose, nere, irte di spaventevoli punte contro le quali rompevasi furiosamente la corrente della fiumana. Un colpo di barra mal data avrebbe bastato per sventrare il battello malgrado la sua solidissima costruzione.

Per dieci minuti l’Huascar, ora frenato, ora spinto a destra, ora spinto a sinistra, filò lentamente fra quella doppia fila di scogli e scoglietti,