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Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. I.djvu/43

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una traccia misteriosa 41


indi sboccò in un vasto antro, in una specie di gigantesca caverna, dove la corrente facevasi sentire debolmente.

L’ingegnere si alzò quanto era lungo, colla lanterna in mano, ma la vôlta era tanto alta da non potersi scorgere; si chinò a babordo, indi a tribordo, ma le rive non erano più visibili.

— Dove siamo noi? chiese Burthon.

— Non ne so più di te, rispose sir John. Però, mi sembra che siamo entrati in una caverna vastissima. Spara un colpo di fucile che vediamo se la vôlta è bassa.

Burthon prese una carabina, l’armò e fece fuoco. Un fragore spaventevole tenne dietro alla improvvisa detonazione. Gli echi della immensa caverna, bruscamente destati, raddoppiarono, centuplicarono la scarica in modo tale, che parve che la vôlta crollasse tutta d’un colpo, anzi, alcuni enormi massi, senza dubbio malfermi, piombarono giù, sollevando le acque a mostruose altezze.

— Oh! esclamò Burthon, che involontariamente rabbrividì. Guardate, guardate, sir John!

L’ingegnere, che aveva ancora lo sguardo in aria, abbassò la testa. Uno spettacolo strano, inaudito, si presentò ai suoi occhi.

A destra, a manca, dinanzi e di dietro, per un tratto vastissimo, vivissimi lampi solcavano le negre acque di quella caverna. Erano mille, duemila, diecimila che apparivano e scomparivano con rapidità fulminea, che s’incrociavano in mille guise, dritti gli uni, spezzati, contorti, semi-circolari gli altri.

— Cosa sono? chiese Burthon.

— Sono spettri! strillò il superstizioso O’Connor facendosi precipitosamente il sogno della croce.