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piena fiducia nei dayaki, però dieci rimanevano sempre nella grande capanna onde vegliare sugli attrezzi occorrenti ai lavori.

Il secondo ogni sera pregava il capitano di richiamarli a bordo, ma questi, che aveva una gran fiducia nel capo indigeno, e che temeva di fargli un affronto prendendo tali precauzioni, si era sempre fermamente rifiutato di accettare il prudente consiglio.

Finalmente il 25 luglio i lavori furono terminati, però il capitano non fece subito spiegare le vele, volendo fare un’ampia provvista di legname per costruire delle trincee al forte. L’indomani ottanta marinai si recavano a terra abbattendo numerose piante, mentre altri le caricavano, stivandole per bene.

Prima di sera la provvista era stata già ultimata, essendo però rimasti a terra numerosi attrezzi, il capitano non volle ritirare i dieci uomini di guardia, non ostante le esortazioni del secondo.

La notte era oscura, nuvolosa e un forte vento spirava a tratti irregolari. Delle grosse gocce di pioggia cadevano di tratto in tratto, mentre il mare cominciava a muggire sordamente.

Il capitano, fatta gettare un’àncora anche a poppa della nave, andò a dormire, rassicurato dalla quiete che regnava nell’interno della piccola rada.

Verso la mezzanotte, quando l’oscurità era diventata più profonda, il vento cominciò a fischiare fortemente, sibilando fra le corde e le attrezzature con dei suoni bizzarri e striduli.

Alle una, mentre i marinai di guardia stavano rinforzando alcuni cavi, furono sorpresi da una scarica di fucili che veniva dalla parte della foresta. L’allarme fu subito dato. Il capitano ed i marinai che erano di riposo, in meno di un minuto si trovarono tutti in coperta.

— Che cosa avete udito? — chiese Parry agli uomini di guardia.

— Abbiamo udito una scarica verso la costa, — rispose un gabbiere. — Temiamo che i dayaki sgozzino i nostri.

— Se laggiù si combatte udremo altre scariche.

A bordo regnarono alcuni istanti di silenzio. Tutto pareva tranquillo verso la foresta, e non si udivano che il vento e il mare a muggire. D’un tratto alcune grida risuonarono in distanza. Il capitano mandò un grido di furore, mentre l’equipaggio correva ad armarsi.

— I dayaki attaccano i nostri, — disse il secondo. — Udite capitano?

Si udirono allora delle grida frenetiche unite a parecchie detonazioni. Una lotta feroce, micidiale, doveva succedere a terra.

— Capitano, i nostri camerati vengono assassinati! — gridarono i marinai, affollandosi attorno a lui.

— Volete sbarcare con questa oscurità? — disse il secondo.