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152 Emilio Salgari


osò accorrere in aiuto del marinaio che si dibatteva, ma invano, sotto la potente stretta del bretone.

Già stava per colpirlo, quando il dottore, avvertito da Vasco di ciò che accadeva, uscito rapidamente dalla tenda di Seghira, seguìto da Niombo che teneva in pugno una manovella, terribile arma nelle sue mani, comparve.

– Fermatevi, signor Kardec – gli disse afferrandogli la mano armata. – È stato sparso fin troppo sangue, per versarne dell’altro.

– Lasciate che lo uccida! – gridò il bretone, furioso.

– Vi perderete, – gli soffiò in un orecchio Esteban.

Kardec lo comprese: l’equipaggio che lo circondava aveva assunto un aspetto minaccioso e pareva disposto ad accorrere in aiuto del camerata.

Si rialzò lentamente, senza abbandonare l’arma, gettò sull’equipaggio uno sguardo che pareva una sfida e si allontanò dirigendosi verso prora.

– Ai vostri posti, voi – disse il dottore con un tono di voce, che non ammetteva replica.

Poi, volgendosi verso Ovando che stava rialzandosi, più pallido d’un morto:

– Bada, – gli disse. – Non troverai sempre me per salvarti.

Il marinaio non rispose, ma i suoi sguardi si fissarono sul bretone e quegli occhi contenevano una terribile minaccia.

– Vattene, – gli disse Vasco, spingendolo verso poppa. – Tu vuoi farti appiccare troppo presto.

L’equipaggio si disperse pel ponte, ma fra quei gruppi si parlava sommessamente e non certo in favore del comandante. Quella canaglia, reclutata fra la schiuma di dieci diversi paesi, cominciava a sentire troppo pesante la disciplina del bretone.

– La va male, – disse il dottore a Vasco. – Kardec non durerà molto.

– Eppure è necessario che rimanga al comando della zattera – rispose il portoghese. – Se la sua autorità svanisce, non so a quali accessi si lascerà trasportare l’equipaggio, quando i viveri saranno terminati.

– Cosa temi?

– Una rivolta per sacrificare Niombo o Seghira. La fame non ragiona e questi uomini mi sembrano decisi a rinnovare gli orrori della Medusa.

– Infamia!