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126 capitolo sedicesimo


Ricominciò a retrocedere verso la prora, guatando cupamente gli aeronauti che non osavano ancora muoversi e si rannicchiò dietro una cassa, manifestando la sua rabbia con frequenti brontolii e con un incessante agitare della coda.

— La macchina è libera, — disse Rokoff. — Approfittiamone.

— Lasciate fare a me, — rispose il capitano. — Voi non muovetevi.

— Non vi assalirà?

— Può darsi.

— Allora signore vi domando il permesso di affrontare io il pericolo. Voi siete il capitano e dovete essere l’ultimo a esporre la vostra vita.

— Ma anch’io reclamo l’onore di farmi divorare per salvare voi, — disse Fedoro.

— Nè l’uno nè l’altro, — rispose il comandante. — D’altronde voi non sapete maneggiare la macchina.

Vedendo poi che il russo ed il cosacco aprivano le labbra per replicare, aggiunse con voce quasi dura:

— Basta, signori. Mi rincresce ricordarvi che il capitano sono io e che perciò voi mi dovete obbedienza assoluta. —

Poi con un sangue freddo ed un’audacia ammirabile, s’avanzò verso la macchina, d’ardeggiando sulla fiera uno sguardo che pareva di sfida.

L’irbis non si era mosso; solamente le sue poderose unghie si erano infisse profondamente sulla cassa, sgretolando il legno.

Il capitano fece agire la leva, poi retrocesse tranquillamente, senza staccare i suoi occhi dal feroce avversario.

— Ecco fatto, — disse con una voce perfettamente tranquilla. — Fra cinque minuti saremo a terra. —

Lo Sparviero cominciava infatti a discendere. Il movimento delle eliche era stato arrestato e le ali non battevano più che leggermente.

— Dove cadremo? — chiese Rokoff.

Il capitano si curvò sulla balaustrata.

La collina era stata attraversata e l’aereotreno scendeva sul deserto che in quel luogo era coperto da un lieve strato di neve già indurita dal gelido vento del settentrione.

— Tutto va bene, — disse. — Tenetevi pronti ad afferrare le carabine, appena il leopardo ci lascerà.

Lo Sparviero, sorretto solamente dai piani inclinati, continuava ad abbassarsi dolcemente.