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i leopardi dello sciamo 127


L’irbis sempre più spaventato dalle ondulazioni che subiva il fuso, continuava a brontolare e a dare segni d’inquietudine. S’alzava sulle zampe deretane fiutando rumorosamente l’aria e girava continuamente la testa in tutti i sensi.

A un tratto avvenne un urto: lo Sparviero aveva toccato terra.

— Attenzione! — gridò il capitano.

Il leopardo con un salto immenso aveva varcata la balaustrata precipitandosi sulla neve.

Stette un momento immobile, stupito forse di trovarsi a terra, poi spiccò tre o quattro salti dirigendosi verso un gruppetto di betulle nane.

Il capitano, Rokoff e Fedoro si erano precipitati sulle carabine.

— Fuoco!... —

Tre spari rimbombarono formando quasi una sola detonazione.

Il leopardo che si trovava a solo cento passi dal fuso, si rizzò di colpo mandando un urlo prolungato, girò due volte su sè stesso, poi cadde in mezzo alla neve, agitando pazzamente le zampe.

Quasi nel medesimo istante si udirono dei clamori selvaggi, poi degli spari.

— Mille folgori! — esclamò Rokoff. — Che cosa succede ancora?

— I Mongoli! — gridò il capitano. — Su, inalziamoci!

— E il leopardo?

— Lo lasceremo a quei banditi; ci manca il tempo di raccoglierlo. Presto: grandina e s’avanzano al galoppo. —

Un istante dopo lo Sparviero s’alzava maestosamente, salutato da una scarica di fucili.


CAPITOLO XVII.

L’inseguimento dei Mongoli.

Una banda di cavalieri era uscita improvvisamente dalle macchie di betulla e s’era slanciata, a corsa sfrenata, verso lo Sparviero, urlando a piena gola e scaricando all’impazzata colpi di fucile.

Erano quaranta o cinquanta, tutti di statura bassa ma