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202 capitolo ventiquattresimo

approfittando della comparsa di quelle montagne che parevano sorte improvvisamente sull’altipiano.

Fedoro e Rokoff ritennero inopportuno insistere su quel discorso, rivolgendo tutta la loro attenzione sull’imponente panorama che si estendeva dinanzi ai loro sguardi stupiti.

L’altipiano cambiava, alzandosi rapidamente in scaglioni sempre più giganteschi, i quali andavano ad addossarsi agli Fschong-kum-kul. Non vi erano più nè spaccature, nè burroni, nè gole, ma il terreno appariva tormentato come se un formidabile terremoto lo avesse sconvolto.

Si vedevano enormi rupi rovesciate e spezzate, ammassi sterminati di macigni, crateri di antichi vulcani coi margini franati, avvallamenti strani, poi bacini coperti di ghiacciai, veri mari di luce che abbagliavano gli occhi con tale intensità, da non poterli guardare più d’un minuto.

Al sud, la catena ingigantiva rapidamente. Era un caos di piramidi e di guglie, bianche di neve, che si slanciavano arditamente verso il cielo come se volessero traforarlo, solcate qua e là da spaccature che dovevano avere delle dimensioni straordinarie.

Lo Sparviero aveva incominciato a risalire, potentemente aiutato dalle eliche orizzontali, le quali funzionavano vertiginosamente intanto che le due immense ali battevano colpi precipitati.

La respirazione cominciava a diventare penosa per tutti, anche pel capitano, che pur doveva essere abituato alle grandi altezze.

Provavano dei capogiri, delle nausee, dei ronzii agli orecchi e un’estrema debolezza. Era il male delle montagne, prodotto dalla estrema rarefazione dell’aria, ben noto agli alpinisti e soprattutto agli abitanti della catena delle Ande, che lo chiamano il puna.

— Capitano, — disse Rokoff — che cosa succede? Mi sembra di essere ubriaco e che il mio stomaco provi il mal di mare.

— E a me pare di soffocare, — disse Fedoro — sento il cuore e le tempie battere precipitosamente, mentre invece la testa mi sembra che venga stretta da un cerchio di ferro.

— Siamo a settemila e cinquecento metri, signori miei, — rispose il capitano dopo aver osservato i barometri sospesi alla balaustrata. — A simili altezze l’aria è quasi irrespirabile, però le vostre nausee cesseranno subito appena avremo varcato quella catena di monti e che torneremo ad abbassarci.

— Soffrono anche gli animali portati a simile elevazione?

— Più degli uomini, signor Rokoff, e infatti su questi