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220 capitolo ventiseiesimo


— Saranno stati dei lupi.

— Si dirigevano tutti verso le casupole dei Tibetani.

— Siete sicuro che fossero animali?

— Almeno mi parvero tali, capitano.

— Noi non abbiamo veduto alcuno, signor Rokoff.

— Manca nulla qui?

— Nessuno è salito sul fuso; col fuoco che brilla, lo avremmo veduto.

— È strana.

— Cercate di sorprenderne qualcuno.

— È quello che farò; torno al posto. —

Rokoff rifece per la quinta volta il giro del fuso, senza notare alcunchè di straordinario.

Stava per tornare al suo cumulo di neve che gli era servito da sedile, quando vide un’altra ombra fuggire dinanzi a sè.

— Questa volta non mi fuggirai, — disse, alzando il fucile. — Uomo od animale ti prenderò. —

Si era slanciato a tutta corsa dietro quell’ombra che cercava di dileguarsi nella nebbia. Aveva percorsi appena quindici o venti passi, quando incespicò in qualche cosa che gli si aggrovigliò attorno alle gambe come una rete od uno straccio.

— Per le steppe...! — esclamò, cadendo in mezzo alla neve.

Si rialzò prontamente ma l’ombra aveva approfittato per sparire fra il nebbione.

Si curvò per cercare l’ostacolo che lo aveva fatto cadere e che doveva essergli stato gettato fra le gambe dal fuggiasco e mandò un grido di rabbia.

— Canaglia! —

Si trattava realmente d’un lungo pezzo di stoffa che aveva subito riconosciuta. Era un pezzo di seta levato dai piani orizzontali.

— Ci guastano lo Sparviero! — urlò, slanciandosi verso il fuso. — Ci hanno rubata la seta dei piani! All’armi! —

Il capitano era balzato a terra seguito dal macchinista il quale portava una lampada.

— La seta dei piani! — esclamò, pallido d’ira.

— Ne ho trovato un pezzo. Le ombre che fuggivano erano uomini e non cani o lupi.

— Se è vero, me la pagheranno cara!

Prese la lampada e si diresse velocemente verso i piani di babordo.

— Canaglie! — gridò. — Ci hanno rovinati! —