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250 | capitolo ventottesimo |
cosa, perchè ora si fermavano e abbassavano le lampade, ora si disperdevano e ora si raggruppavano di nuovo.
— Fedoro, — disse Rokoff, quando fu vicino all’amico. — Stiamo per venire scoperti e non sono riuscito a trovare alcun nascondiglio.
— Ho notato anch’io quei punti luminosi, — rispose il russo.
— Che quegli uomini cerchino noi?
— Non ho alcun dubbio. Siamo stati veduti a cadere dallo Sparviero o ad approdare.
— Chi saranno costoro?
— Dei monaci, suppongo. Mi hai detto d’aver veduto un’enorme costruzione.
— Sì, Fedoro, ma poteva essere anche una fortezza.
— Non ne esistono su questo lago; qui non vi sono che monasteri.
— Sono cattivi i preti di questo paese?
— Non credo, però avrei preferito non essere scoperto.
— Bah! Se sono monaci, non ci faranno paura, — disse Rokoff, mostrando i suoi pugni. — Mi sento in forza per affrontarne cinquanta.
— Non vi è alcun modo di fuggire?
— Ricacciarci nel lago.
— Non pensiamoci; la tempesta invece di scemare aumenta sempre e le onde cominciano a giungere anche qui. Vediamo quale accoglienza ci faranno questi buddisti; se si mostrano ostili daremo battaglia.
— Le mie braccia sono pronte a grandinare pugni santissimi che faranno loro vedere le stelle e anche il sole. —
Fedoro si era alzato. I monaci non erano lontani che cinquanta o sessanta passi e continuavano ad esplorare la spiaggia.
Erano una mezza dozzina, non vi era quindi da temere con un uomo della forza di Rokoff.
— Andiamo ad incontrarli, — disse Fedoro risolutamente. — Anche rimanendo qui ci troverebbero egualmente.
— Ti seguo, — disse il cosacco, rimboccandosi le maniche della camicia.
Avevano percorso mezza distanza, quando videro le lanterne fermarsi, proiettando la luce innanzi. Delle esclamazioni che parevano di stupore, sfuggirono agli uomini che le portavano.
— Ci hanno veduto, — disse Fedoro.
— Chi sono, dunque? — chiese Rokoff.