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la società della «campana d’argento» 25


A un tratto si slanciò verso il letto di Fedoro, mandando un urlo.

Nelle vicine stanze, nei corridoi, sulle verande, aveva udito alzarsi acute grida improntate al più vivo terrore:

— L’hanno assassinato! Ah! Povero padrone! L’hanno ucciso!

— Fedoro! Svegliati! — urlò.

Il russo si era alzato bruscamente, stropicciandosi gli occhi. Vedendo Rokoff fermo dinanzi al letto, col viso sconvolto e gli occhi strabuzzati, fece un gesto di meraviglia.

— Che cos’hai? —

Poi, prima che l’amico potesse rispondergli, gli sfuggì un grido.

— E Sing-Sing?

— Ucciso! Lo hanno ucciso! — disse Rokoff facendo un gesto disperato.

— Sing-Sing morto! Ah! Ma dove siamo noi?... Ieri sera non eravamo in questa stanza!... Rokoff! Che cosa è successo? Chi ci ha portati qui?

— Non so... non so nulla... è tutto un mistero inesplicabile... Vieni... usciamo... l’hanno ucciso... —

Le grida, i pianti, i singhiozzi della numerosa servitù del ricco cinese, echeggiavano dovunque.

Fedoro e Rokoff, non essendo stati spogliati dai misteriosi nemici che li avevano trasportati in quella stanza, approfittando dell’inesplicabile sonno che li aveva colpiti, si slanciarono verso la porta.

Nel corridoio s’incontrarono col maggiordomo, il quale singhiozzava.

— È vero che è morto il tuo padrone? — chiese Fedoro, afferrandolo per le braccia.

— Sì, signore... assassinato... assassinato!

— E i suoi uccisori?

— Scomparsi.

— E non sai dirmi chi ci ha trasportati qui, mentre eravamo col tuo padrone?

Il maggiordomo li guardò con sorpresa.

— Voi... col padrone! — esclamò.

— Eravamo nella sua stanza per vegliare su di lui e ci siamo svegliati in questa, sui nostri letti.

— È impossibile!... Voi avete sognato!