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Pagina:Salgari - I figli dell'aria.djvu/356

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312 capitolo trentaquattresimo

poi armatisi di carabine express e munitisi di abbondanti munizioni e d’una fiasca di brandy per combattere il freddo che si faceva sentire acuto, lasciarono il fuso, dirigendosi verso la foresta.

La notte era chiara, perchè la luna si era già alzata e nessuna nube offuscava il cielo; vi era quindi qualche probabilità di poter sorprendere gli orsi che, ordinariamente, si tengono nascosti durante le notti oscure e umide.

Il capitano e Rokoff attraversarono velocemente le alte erbe che crescevano intorno al fuso, occupando tutto il piccolo altipiano e raggiunsero il margine della foresta, arrestandosi un momento ad ascoltare.

Un profondo silenzio regnava sotto la cupa ombra delle mangifere e dei pipal. Solamente in lontananza si udiva qualche rado urlo di cane selvaggio, urlo più prolungato e più acuto di quello che lanciano gli sciacalli.

— Cerchiamo un posto per metterci in agguato, — disse il capitano. — Fra poco questo silenzio verrà rotto dalle belve.

— Vedo là un grosso albero il cui tronco è circondato da folti cespugli, — disse Rokoff, indicando un maestoso nim, che sorgeva isolato nel mezzo d’una minuscola radura. —

Si diressero da quella parte, coi coltelli s’aprirono un passaggio, e fatto intorno a loro un piccolo spazio, stesero a terra le coperte che avevano portato.

— Il posto è buono, — disse il capitano, dopo d’aver armato la carabina. — Udite questo gorgoglìo?

— Sì, — rispose Rokoff.

— Indica la vicinanza d’una sorgente o d’un torrentello. Gli animali non tarderanno a venire a dissetarsi.

— Gli orsi neri?

— Forse anche gli orsi. Perbacco, ci tenete agli zamponi di quei plantigradi?

— Sono così eccellenti.

— Non dico il contrario, signor Rokoff. —

Accesero le pipe, si sdraiarono sulle coperte, si misero le carabine a fianco e attesero che gli animali della foresta uscissero dai loro covi.

Il silenzio che poco prima regnava quasi sovrano, veniva ora turbato con maggior frequenza. Dei rumori, vaghi dapprima, si propagavano sotto le ombre dei palmizi e delle mangifere; ora era un urlo che pareva l’ululato d’un lupo indiano, ora un miagolìo rauco di qualche gattone selvaggio, ora invece un fischio acuto.