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44 | capitolo sesto |
— No... non è possibile, — rantolò il negoziante di the, che aveva l’aspetto d’un pazzo. — No... una simile infamia contro di noi!...
— Fedoro, che cosa possiamo tentare? Ci lasceremo torturare e assassinare in questo modo da queste canaglie? Noi siamo innocenti.
— Non so che cosa risponderti, mio povero amico.
— Ciò che ci succede è spaventevole! No, non può essere che un sogno! — gridò Rokoff.
— È pura realtà, amico mio.
— E non tenteremo nulla?
— Non possiamo far altro che rassegnarci.
— Ah! no, vivaddio! Io spezzerò questa gabbia maledetta e farò un massacro di tutti!
— Non riuscirai ad abbattere le traverse, — disse Fedoro.
— Lo credi? Ebbene, guarda! —
Il cosacco, a cui il furore centuplicava le forze, afferrò due canne e le scosse con tale rabbia, da farle inarcare e scricchiolare.
Un carnefice, che stava rigando le cosce ad un disgraziato prigioniero mediante una sbarra di ferro arrossata al fuoco, accortosi di quell’atto, accorse, vociando e minacciando.
— Toccami, se l’osi! — urlò Rokoff, allungando le mani attraverso le canne.
Quantunque l’aguzzino non avesse potuto comprendere la frase, vedendo quell’Ercole in quella posa, si era arrestato titubando.
— Noi siamo europei! — gridò Fedoro. — Guardati, perchè le Ambasciate ci vendicheranno e vi faranno uccidere tutti. —
Quella minaccia, forse più che l’atteggiamento del cosacco, aveva fatto indietreggiare il carnefice.
— Europei! — aveva esclamato.
Poi, passato il primo istante di stupore e anche di terrore, aveva rialzata l’asta infuocata, minacciando d’introdurla fra le traverse e di calmare i due prigionieri con qualche puntata.
— Giù quel ferro! — urlò Rokoff, scuotendo le canne con maggior vigore. — Giù o ti strangolo come un cane.
— Tu non mi fai paura, — rispose l’aguzzino. — Ora lo vedrai. —
Stava per farsi innanzi, quando la porta della sala si aprì lasciando il passo al magistrato che aveva arrestato i due europei nella casa di Sing-Sing. Vedendo il carnefice avvicinarsi alla gabbia, con un grido lo arrestò.