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60 capitolo ottavo


Lo Sparviero, dopo essersi librato sulla Cheng-wai, dove si vedevano radunarsi nelle piazze e sulle vie miriadi di cinesi attratti da quell’immenso uccello che dovevano prendere per qualche drago mostruoso, si era lentamente diretto verso la città imperiale, le cui mura rosse spiccavano vivamente fra il verde dei giardini.

Prima però di prendere la corsa verso i tetti gialli, scintillanti sotto i raggi del sole, lo Sparviero con un largo giro aveva raggiunto il tempio del Cielo, uno dei più grandiosi che sorgano nella capitale, librandosi per alcuni minuti su di esso.

Come quello dell’Agricoltura, è difeso da una cinta ombreggiata da filari d’alberi, lauri e pini e si erge sopra una terrazza a gradini di marmo, lanciando ben alti i suoi tetti sovrapposti e la sua larga rotonda adorna di maioliche verniciate e di pilastri azzurri, rossi, scarlatti e gialli con foglioline d’oro.

— Ammirabile! Stupendo! — esclamava Rokoff.

— Ed immenso, — disse Fedoro.

— E quello che sorge laggiù è più bello ancora, — disse il capitano, che si era collocato presso di loro.

— È il tempio dell’Agricoltura, è vero capitano?

— Sì, — rispose l’aeronauta. — Vedete anche il piccolo campo sacro, dove una volta l’Imperatore e i principi si recavano, all’epoca dei lavori di primavera, a guidare l’aratro d’avorio ed oro, invocando le benedizioni del cielo e della terra.

— Ora non si fa più quella cerimonia? — chiese Rokoff.

— No, e ciò dopo l’entrata delle truppe franco-inglesi nella capitale, ossia dal 1860. Guardate, il tempio è superbo, degno di questo gran popolo. —

Con una rapida volata lo Sparviero lo aveva raggiunto, descrivendo un vasto giro intorno alla colossale costruzione la quale lanciava verso il cielo i suoi tre tetti sovrapposti, coperti di tegole gialle ed azzurre.

Si tenne qualche istante quasi immobile, onde gli aeronauti potessero meglio contemplare i marmorei scaloni e la selva di pilastri variopinti e coperti di sculture, poi, innalzatosi di duecento metri mosse dritto verso la città imperiale, fugando colla sua presenza le guardie che vegliavano sui bastioni.

Dalle vie e dalle piazze della Cheng-wai salivano, di quando in quando, dei clamori assordanti mescolati allo strepito di migliaia di gong e di tam-tam e di conche marine e si vedeva la folla precipitarsi verso le muraglie della città tartara.