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238 | Capitolo trentesimo |
Non essendovi al piano che poche piante, era facile scoprire un accampamento, tuttavia, nè Pram-Li nè Tiguma, riuscirono a scoprire quello dei cacciatori di teste.
— Se ne sono andati, — disse il malese, respirando.
— Non ancora, — rispose Tiguma, gli sguardi del quale si erano fissati sulle rive della laguna. — Vedo là due uomini che stanno attingendo acqua. —
Pram-Li guardò nella direzione che gl’indicava il giovane selvaggio e vide due indigeni curvi sulla riva della laguna.
— Sono cacciatori di teste, è vero Tiguma? — chiese.
— Sì, — rispose il selvaggio. — Li riconosco dal kampilang che portano alla cintura.
— E dove saranno i loro compagni?
— Forse si sono accampati alla base della collina.
— Se andassimo a esplorare i boschi che si estendono sotto di noi? Penso che rassicurati sulla loro posizione, noi potremmo forse sfuggire le loro ricerche guadagnando la cima dei colli.
— Si potrebbe tentare la sorte, — disse Tiguma.
— Vuoi accompagnarmi?
— Sì.
— Hai preso l’arco di Vindhit?
— Ed anche le sue frecce avvelenate. —
Il malese si preparava a scendere, quando il giovane selvaggio lo trattenne vivamente, dicendogli con voce soffocata:
— Troppo tardi.
— Perchè dici questo?
— I banditi s’avvicinano.
— Come lo sai tu? Io non vedo nulla.
— Dei pappagalli e delle kakatoe si sono alzati da quella macchia di arecche.
— E vuol dire?
— Che qualcuno deve aver spaventato quei volatili.
— Può essere stata una scimmia.
— Non credo. Nè i pappagalli nè le kakatoe hanno paura dei quadrumani.
— Vedi muovere qualche ramo?
— No, ma son certo che degli uomini strisciano sotto gli alberi. —
Pram-Li si curvò e fece cadere un ramoscello sulla testa di Hong. Questi alzò il viso.
— In guardia, — disse Pram-Li. — Sveglia Than-Kiù.
— Si avvicina qualcuno?
— Lo temo.