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Gli ostaggi | 275 |
— Preparate due funi e legate due pietre pesanti, — disse il chinese. — Serviranno a questi due uomini. —
Udendo quella minaccia, il sultano aveva alzato un braccio, dicendo precipitosamente:
— No, fermate: io cedo.
— Allora ordina ai tuoi guerrieri di deporre le armi e di arrendersi agli igoroti. —
Il sultano lo guardò con diffidenza.
— E poi, quando non avranno più le armi, non li ucciderai? — chiese.
— Gli uomini della grande nazione gialla hanno la parola sacra, — disse Hong, con voce solenne.
— E mi lascerai tornare a Butuan?
— L’ho promesso.
Il sultano si alzò e si diresse verso la prora, seguìto da vicino da Hong, da Bunga e da Pram-Li, i quali non avevano molta fiducia in quel selvaggio monarca.
I guerrieri, scorgendo il loro capo, balzarono come un sol uomo verso la spiaggia, agitando ferocemente le armi e urlando:
— Vendetta!... Vendetta!... —
Il sultano fece una brutta smorfia, poi alzando la destra reclamò un profondo silenzio.
— Deponete le armi sulla riva e ritiratevi nelle capanne, — disse.
I guerrieri, stupefatti da quell’ordine inaspettato, erano rimasti immobili, credendo forse di essersi ingannati sul vero significato di quelle parole.
— Obbedite!... — tuonò il sultano.
— Noi vogliamo vendicarci!... — urlarono i guerrieri.
— E gli igoroti uccideranno il vostro sultano, — rispose il monarca, — e poi uccideranno anche voi. I guerrieri della grande nazione degli uomini gialli non sono lontani e verranno a sterminarvi.
Dinanzi a quelle minacce, il furore bellicoso dei guerrieri sfumò come per incanto.
Avviliti, ed anche non poco spaventati, deposero le armi sulla riva e si ritrassero lentamente nelle capanne e nelle tettoie della piccola piazza forte.
Subito quattro canoe s’accostarono alla spiaggia e gli igoroti che le montavano scesero, impadronendosi dei fucili, dei bolos, dei kampilang e delle asce di guerra.
— Io ho mantenuto la mia parola, — disse il sultano con voce fremente.