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La Gaida degli Hoolygani 107


— Per quanto ancora, signore? — disse il capo della gaida. — Gli Hoolygani si sono impegnati di vendicarvi e presto vi mostreremo come noi, quantunque ladri e furfanti, puniamo i malvagi che sono peggiori di noi.

Hai da dire altro, figliola mia?

— Che Stossel mi aspetta fra la una e le due, come ti ho già detto, essendosi recato stamane fuori di Pietroburgo.

— Ci condurrai da lui.

— Vuoi ucciderlo?

— Ciò riguarda me, capo supremo della gaida e non te.

L’ameresti forse? —

La ragazza alzò le spalle e rise cinicamente.

— Io sono ascritta alla gaida, — disse poi. — Le appartengo tutta.

— Ecco una risposta prudente, — disse l’atman, che aveva corrugata la fronte. — Gli Hoolygani hanno la mano sempre pronta per punire coloro che non obbediscono agli ordini del Consiglio. —

Si volse verso il garzone, che stava sempre ritto dietro la sedia del terribile capo, chiedendogli:

— Sono pronte le slitte?

— Sì, atman.

— È stato disposto intorno all’albergo un servizio di sorveglianza? Non desidero che la polizia m’importuni questa notte.

— Tutti sono al loro posto.

— Che una slitta montata da quattro dei nostri e guidata da Pugno di ferro ci preceda e sbarazzi la via in caso di pericolo.

Voglio essere completamente libero. —

Il garzone, che doveva avere una paura indiavolata del capo dei ladri, scomparve per far eseguire gli ordini.

— Signori, — disse allora l'atman, — possiamo partire. Il palazzo del barone è piuttosto lontano e mancano solamente venti minuti all’una.

Siete tutti armati?

— Tutti, — rispose Ranzoff, — e anche decisi a far uso delle nostre rivoltelle e dei nostri pugnali. —

L’atman gettò via il mozzicone di sigaro, diede fondo alla sua tazza e condusse Ranzoff ed i suoi compagni nel cortile dell’albergo.

Quattro troike, coi fanali accesi, tirate ognuna da tre vigorosi cavalli e guidate da cocchieri di statura gigantesca, aspettavano.