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La Gaida degli Hoolygani 109


Sparviero con voce tranquilla. — Egli ha rovinato voi, vi ha spogliati dei vostri beni, vi ha rapita la figlia e nipote e noi rovineremo lui e non cesseremo, finchè quella fanciulla non ritornerà fra le vostre braccia.

Quale nave potrà gareggiare colla mia macchina volante? Chi potrà assalirla o cannoneggiarla a cinquemila ed a diecimila metri d’altezza? Chi potremo noi temere? Dovunque la bandiera dei Teriosky sventolerà, noi affonderemo in mare dei milioni.

È la fanciulla che mi preoccupa. Dove l’avrà condotta quel furfante? Su quale nave l’ha imbarcata? Tuttavia non dispero, signor Boris.

Forse dall’intendente sapremo qualche cosa. —

Mentre chiacchieravano, le troike divoravano la via, fendendo il nebbione intensissimo che la Neva lanciava in tutte le direzioni, a grandi ondate.

I velocissimi veicoli seguivano ora la riva destra del fiume, dirigendosi verso le isole che sorgono verso la foce e dove si trovavano le villeggiature dei bojardi russi.

Giunti ad un certo punto, si inoltrarono sulla superficie gelata della Neva, attraversandola. I giganteschi cocchieri trattenevano a gran fatica i cavalli, i quali pareva che avessero il fuoco nelle vene.

Ad un tratto quella corsa vertiginosa cessò quasi bruscamente, dinanzi ad un imponente palazzo che si ergeva in mezzo ad un folto boschetto di pini e di betulle.

L’atman era subito disceso, aiutando Olga.

— È qui, è vero?

— Sì — rispose la ragazza, che batteva i denti per l’intenso freddo. — Ah! Come desidererei una buona pelliccia ed un allegro fuoco.

— L’avrai presto, — rispose il capo della gaida, — l’una e l’altro. Come fai ad entrare?

— Vieni con me, atman.

— Chi viene ad aprirti?

— Il servo.

— Dov’è Pugno di ferro? —

Da una slitta, che si era fermata a breve distanza, discese un uomo di statura gigantesca.

— Eccomi, capo, — rispose. — Ti aspettavo.

— Sono pronti i tuoi uomini?

— Sempre.