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110 Capitolo IX.


— Armati?

— Non sarebbe necessario chiederlo, — rispose il gigante.

— Devi impadronirti d’un uomo.

— E ucciderlo con un coup de poing americain?

— Niente affatto. Quel povero diavolo non avrà probabilmente mai fatto male a nessuno, specialmente alla gaida, quindi non merita di provare la pesantezza e la robustezza del tuo pugno e del tuo braccio, bruto. Io non voglio altro che sia imbavagliato e legato.

Non è quello che deve pagare il conto.

Tutti a terra! —

Gli Hoolygani della slitta, i marinai dello Sparviero ed i loro capi balzarono in mezzo alla neve, impugnando le rivoltelle.

— Guidaci, — disse l’atman a Olga.

La ragazza raccolse la sua sottana di velluto rosso per non bagnarla troppo, immerse i suoi alti stivaletti di marocchino pure rosso nella neve e seguì la cancellata che si stendeva dinanzi al grandioso palazzo di pietra.

Giunta dinanzi ad una porticina di ferro, che doveva mettere nel giardino, alzò colla mano inguantata un pesante martello di bronzo, poi lo lasciò cadere bruscamente con un rimbombo sonoro.

— State attenti a seguirmi, — disse. — Io terrò la porta aperta.

— A te pel primo, Pugno di ferro, — disse l’atman. — Bada che l’uomo che viene ad aprirci non abbia il tempo di mandare un grido.

— Sì, padrone, — rispose il gigante, mettendosi dietro alla ragazza. — Sono già abituato a questi colpi.

— Zitto, — disse Olga. — Il servo si avvicina.