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148 Capitolo XII.


— Fortunatamente simili catastrofi non avvengono più, — disse Wassili.

— T’inganni, fratello, — rispose Boris. — I fuochi della terra non si sono ancora spenti ed il fondo del mare non si è ancora calmato. Vi è un’altra grande isola che è destinata, un giorno, a sparire per opera dei vulcani.

— E quale, comandante? — chiese Ranzoff.

— L’Islanda, la quale lentamente va sommergendosi. I fuochi la minano da ogni parte, i terremoti ne sconquassano incessantemente la ossatura ed il mare s’avanza minaccioso da tutte le parti, scavando immense caverne sotto il suo suolo.

Ci vorranno dei secoli, molti probabilmente, ma anche all’Islanda toccherà l’egual sorte che ha distrutto l’Atlantide, e forse non sarà sola. Guardate le isole della Malesia, che di quando in quando vengono sconquassate e diroccate. Chi non ricorda le spaventevoli eruzioni del Krakatoa? Anche Giava non può credersi sicura coi suoi sedici vulcani, che di quando in quando hanno dei risvegli terribili ed i molti altri inattivi per ora e che potrebbero prima o poi risvegliarsi.

— Vulcani che producono sovente dei disastri spaventevoli, è vero, fratello? — chiese Wassili.

— Sì, — rispose il comandante. — Quell’isola, che è un paradiso, subisce delle eruzioni tremende e anche delle scosse formidabili, che a poco a poco la distruggono modificandone le coste.

La lista sarebbe lunga, ma per darvi un’idea dei danni che possono ancora causare i vulcani ed i terremoti, vi citerò alcuni fatti, che possono provarvi come anche Giava possa correre il pericolo di venire subissata al pari dell’Atlantide.

Una eruzione delle meno antiche è quella del 1772. Il Papandayang, accesosi improvvisamente, in una sola notte copre quattordici miglia quadrate di terreno d’uno strato di cenere alto ben cinquanta piedi, seppellendo sotto quella enorme massa quaranta fiorenti villaggi e più di tremila persone.

— Che vuoto deve aver fatto nelle viscere della terra! — esclamò il capitano dei cosacchi.

— Nel 1822 invece è il Galungong che vomita tanto fango, tanta acqua e tanti lapilli da coprire venti miglia quadrate: il monte poi si squarcia, formando nuove colline e vallate, cangiando il corso ai fiumi e distruggendo centoquattordici villaggi assieme ai loro quattromila abitanti.