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La vendetta dei forzati 45


— Si nasconde nella baia.

— Tu ci guiderai all’attacco, signore?

— Mio fratello, che è un uomo di mare, dirigerà l’abbordaggio. È vero Boris?

— Sono pronto ad esporre la mia vita per la salvezza di questi uomini, — rispose l’ex-comandante della Pobieda.

— Andate ad armarvi, amici, — disse Wassili.

I forzati, che già stavano spezzando le loro catene con una scure data loro da Liwitz, il macchinista della scialuppa, seguirono Bedoff, il quale sapeva meglio di qualunque altro dove si trovavano i fucili, le rivoltelle e le munizioni del penitenziario.

Cinque minuti dopo ricomparivano, tutti formidabilmente armati.

— Dormono sempre i cosacchi? — chiese Wassili a Bedoff.

— Russano più forte che mai, signore, — rispose il carceriere. — Prima di quarant’otto ore, come vi dissi, non si sveglieranno. Hanno assorbita troppa votka, quelle spugne viventi.

— Abbiamo dunque tempo per conquistare il guardacoste che dovrà servire a sottrarre questi disgraziati alle vendette dei comandanti dei penitenziarii. Tu conosci quella nave?

— Sì, signore.

— Quanti uomini d’equipaggio ha?

— Non più di una trentina.

— Conosci il suo ancoraggio notturno?

— Si rifugia sempre dietro le scogliere di Jawine. L’ondata è sempre forte su queste spiagge ed un colpo di mare può sorgere improvvisamente e fracassare le navi che osano affrontare le coste di questa maledetta isola.

— È possibile una sorpresa?

— Non vi è da attraversare che un piccolo passo, dove l’acqua giunge appena alla cintura d’un uomo.

— Non credevo che tu fossi un uomo così prezioso. Avrai paga doppia di quella fissata dal tuo antico pensionato Ursoff.

— Tu sei troppo generoso, signore.

— Sono pronti i forzati?

— E tutti armati.

— Daremo un abbordaggio fulminante non appena sarà calato il sole.

— Verrai anche tu con noi a Jese, signore?

— Non ti preoccupare nè di me, nè di mio fratello, nè dei miei uomini. Il Giappone non è la nostra mèta.