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il re della montagna 103

In quell’istante sulla soglia della porta apparve un giovane curdo, con un grande turbante sul capo, che gli nascondeva gran parte del viso, una ricca arkalib, ossia tunica di seta, chiusa ai fianchi da una fascia pure di seta rigata, e un paio di larghi sir-djamè, specie di pantaloni che si ristringono al collo del piede.

Nadir nel vederlo fece un gesto di sorpresa, girando lo sguardo verso Harum come per chiedergli che cosa desiderava quel giovanotto, ma ad un tratto emise un grido di gioia.

— Fathima! — esclamò, muovendole incontro.

— Il Re della Montagna non mi riconosceva più adunque? — chiese ella sorridendo.

— Se non ti avessi guardata negli occhi, non t’avrei conosciuta sotto quelle vesti.

— Credi che mi scopriranno, Nadir?

— No, Fathima. Sfido qualunque persona.

— Sei certo, Nadir? — chiese Harum.

— Sì, amico.

— Allora possiamo recarci alla festa del martirio. Gli amici ci attendono in un luogo che io conosco, e troveremo i cavalli pronti per ripartire subito. Un soggiorno prolungato qui è pericoloso per tutti, e forse questa casa non può essere più sicura.

— Andiamo, Harum — disse Nadir.

— Prendi prima queste pistole, — disse il montanaro, — poi va tu pure a indossare il costume curdo.

— Grazie, Harum. La prudenza non è mai troppa.

Nadir passò nella stanza attigua e pochi minuti dopo ritornava. Sotto quel nuovo costume era irriconoscibile quanto la giovanetta e poteva sfidare qualunque spia, anche l’incontro col guardiano Aliabad.

— Andiamo — disse Harum.

Si assicurarono che le pistole erano cariche, poi scesero nella via, mescolandosi alla folla che si riversava verso l’immensa piazza di Meidam.

L’intera popolazione di Teheran era uscita dalle case ed accorreva ad assistere alla festa del martirio. Passavano turbe di uomini, di donne accuratamente velate, di ragazze; drappelli di curdi, che erano riusciti ad entrare nella città, scalando forse i bastioni, e pronti ad approfittare del primo disordine per abbandonarsi ai loro istinti