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Cap. X.
La festa del martirio di Hussein.
Un gridìo lontano che si appressava, crescendo smisuratamente d’intensità, svegliò il giovane montanaro, che aveva dormito come i giovanotti alla sua età. Non ricordandosi subito della festa del martirio e credendo che le truppe dello sciàh si appressassero per assalire la casa e ritorgli la fidanzata, scattò in piedi; ma dinanzi a sè vide Harum, tranquillo e sorridente, che lo contemplava con sguardo paterno.
— Che c’è, Harum? — chiese Nadir.
— E’ la festa che comincia — rispose il montanaro.
— Ah!... Credevo che assalissero la casa.
— Nessuno sospetta che qui si nasconda la fanciulla che tu sognavi.
— Che cosa ne sai tu? — chiese il giovanotto, arrossendo.
— La chiamavi in sogno.
— L’amo, Harum.
— Me ne accorgo — rispose il montanaro sorridendo.
— Dorme ancora Fathima?
— No, sta vestendosi col costume che le ho comperato.
— Ma sei uscito tu mentre dormivo?
— No; ma ho fatto vendere il tuo diamante per 500 tomani1 e comperare le vesti e due cavalli che devono correre come il kamsin2 del deserto.