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Pagina:Salgari - Il re della montagna.djvu/111

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il re della montagna 111

— Si passa, sì, o no?

— Passate.

— Che Allah sia con te.

Gli otto cavalieri si spinsero sotto la torre e uscirono in aperta campagna. Quando Nadir si trovò fuori della città, emise un lungo sospiro.

— Sei mia, Fathima! — esclamò egli.

— Sì, tua, viva o morta — rispose la giovanetta.

— Sprona! — gridò Harum.

Gli otto cavalli, eccitati colla voce, colle briglie e cogli sproni, partirono ventre a terra verso il nord, dirigendosi al villaggio di Demavend, contando di pernottare ad Ask, località che trovasi a mezza via fra la capitale persiana e la gigantesca catena degli Albours.

La vasta pianura sabbiosa che si estende dalle mura di Teheran ai primi contrafforti dei monti, su una larghezza di circa dieci leghe, era quasi deserta. Si vedevano solamente rari drappelli di curdi galoppare verso la città e alcune bande di illiati nomadi accampati sotto le tende di grosso feltro, occupati a far pascolare i cammelli, che costituiscono la loro principale ricchezza, od a tessere quegli splendidi tappeti che si sono acquistati una fama mondiale.

Nadir e Fathima tacevano, ma di quando in quando si guardavano amorosamente, e mentre l’uno additava il Demavend, che giganteggiava dinanzi a loro, colle cupe foreste arrampicantisi su pe’ suoi fianchi, colle sue immense rocce e colla sua nuvola di fumo che s’alzava dritta sfumando verso il cielo, l’altra accennava la grande moschea di Teheran, la cui cupola rivestita di lamine d’oro scintillava sotto i raggi del sole.

I cavalieri stavano per salire le prime alture, quando di repente, in direzione di Teheran, echeggiò un colpo di cannone.

Harum arrestò il proprio cavallo.

— Il cannone che tuona! — esclamò. — Che significa ciò?...

— Qualche segnale? — chiese Nadir trasalendo.

— Lo temo — rispose il montanaro aggrottando la fronte.

— Non è terminata la festa?

— Sì, Nadir.

— Che cosa vorrà significare?

— La chiusura delle porte — rispose un montanaro.