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128 emilio salgari

— Lui! — esclamò con intraducibile accento d’odio. — Lui!...

— Mirza! — gridò Nadir precipitandosi su di lui. — Che cos’hai? Che ti è accaduto?... Perchè quegli sguardi?... Parla una volta, spiegami tutti questi misteri.

Mirza si rialzò: quell’eccesso inesplicabile di furore pareva che fosse subito sfumato. S’avvicinò a Nadir e alla giovinetta e, unendo le loro mani, disse:

— Dio ha compiuto un miracolo, figli miei: egli ha riunito due vittime dell’infamia d’un vostro comune parente e che erano nate entrambe sui gradini d’un trono. Possano i vostri genitori benedirvi e proteggervi di lassù.

Poi ruppe in uno scroscio di pianto: quel vecchio, che resisteva ancora malgrado tanti dolori passati, piangeva come un fanciullo.

— Mio buon Mirza — disse Nadir con voce commossa. — Perchè piangi?

— Non siamo tuoi figli? — disse Fathima.

— Il pianto fa bene talvolta — rispose il vecchio. — Ho amato tanto i vostri genitori, che tutte le volte che penso a loro, il cuore mi si spezza.

— Ma chi siamo noi? — chiesero Nadir e Fathima.

— Entrambi figli di sciàh.

— Ma siamo parenti adunque?

— Sì, figli miei.

— Ma in qual modo? — chiese Nadir.

— Lo saprai.

— Ma i nostri genitori sono morti? — chiese Fathima.

— Sì, fanciulla: sono stati assassinati.

— Ma da chi? — chiese Nadir. — Dimmelo, Mirza, che vada a strappare loro il cuore.

— Da un uomo che è potente quasi come lo sciàh e che è vostro parente.

— Dal principe Ibrahim?

— Sì, da lui, Nadir.

Il giovane montanaro mandò un urlo di rabbia, mentre Fathima si nascondeva il viso fra le mani, mandando un grido d’orrore.

D’un balzo Nadir afferrò un archibugio che stava in un angolo della sala e si slanciò verso la porta, gridando con voce tuonante:

— A me, montanari!...