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142 emilio salgari

cati due immensi candelabri d’argento, sostenenti una quadruplice fila di candele adorne di nastri, scintillanti di perle e di gemme.

Nadir e Fathima, ciascuno nella sua stanza, attendevano ansiosamente l’arrivo del mollah che doveva benedire la loro unione, ed il tramonto del sole, non essendo permesso il matrimonio che dopo la scomparsa dell’astro diurno. Il giovinotto aveva indossate le vesti più sfarzose, i larghi calzoni di seta allacciati sopra la cintura da un largo nastro azzurro, la camicia pure di seta, ma bianca; uno splendido coulidje, specie di giubba corta, di broccato rosso ricamato in oro e adorno di diamanti, e alla cintola uno scialle di Cascemir di gran valore, sostenente un kandjar coll’impugnatura di diaspro orientale tempestato di diamanti, del valore di ventimila piastre.

In preda ad una irrequietezza e ad una segreta angoscia che non sapeva spiegarsi, passeggiava nervosamente per la sua stanza. Sinistre inquietudini lo assalivano, e prestava attento orecchio ai rumori, che il vento portava sulla montagna.

Ogni qual tratto si affacciava alla finestra del torrione e spingeva il suo sguardo, acuto come quello d’un’aquila, giù per la montagna, scrutando ansiosamente i boschi, le valli, gli abissi. Che cosa temeva? Non lo sapeva nemmeno lui, ma non si sentiva tranquillo.

Mirza, che lo aveva raggiunto dopo d’aver dato gli ultimi ordini acciocchè tutto fosse pronto per la cerimonia, lo guardava, cercando di spiegarsi il motivo di quella irrequietezza.

— Sospiri quel momento? — gli chiese alfine.

— Di sposare la donna che amo? — chiese Nadir. — Oh, sì! Mirza!...

— Ma sei inquieto, Nadir. Eppure tutto è pronto! Fathima arde dal desiderio di essere tua moglie, e fra breve Harum sarà qui col mollah.

— Vorrei che fosse già qui, mio buon Mirza.

— Il sole non è ancora tramontato; e la via è lunga. Tu sai che la salita della montagna è aspra e difficile.

— Ma ti ripeto che vorrei vederlo già qui.

— Che cosa temi? Harum è uomo di parola e ti condurrà il mollah.

— Ho delle vaghe paure, Mirza — disse il giovanotto, fermandosi dinanzi a lui. — Io non so per quale motivo, ma il mio cuore mi sussurra che una tremenda sventura mi sta vicino.