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Cap. XIV.

L’assalto al castello.


Udendo quella scarica di fucili e le urla degli assalitori e vedendo le palle scrostare le pareti della sala e fracassare le lampade, i montanari avevano emesso un grido di furore ed avevano impugnato le pistole ed i loro formidabili kandjar, pronti alla lotta.

Nadir, passato il primo istante di stupore, svincolatosi rapidamente dalle braccia della giovinetta, che gli si era aggrappata addosso come se volesse proteggerlo contro le palle degli assalitori, si precipitò verso la porta, rovesciando il mollah e Mirza che avevano cercato di trattenerlo e, snudato il kandjar, tuonò:

— A me, montanari!...

Non era più un giovanotto: pareva un gigante. Cogli occhi in fiamme, il viso trasfigurato da una collera tremenda, il robusto braccio alzato come in atto di ributtare già i nemici, faceva paura a vederlo.

Al suo appello i montanari tutti, con Harum alla testa, si scagliarono come una fiumana irresistibile attraverso agli androni, precipitandosi giù per le scale. Eran uomini che non avevano paura della morte, che sapevano maneggiare tanto il kandjar che il fucile, e che nutrivano tutti, per diversi motivi, un odio profondo contro le truppe dello sciàh.

I nemici, ferita a morte la sentinella e fatta la prima scarica, trovando la grande porta del torrione principale aperta, avevano ormai invaso le sale terrene. Quanti erano? Molti senza dubbio, perchè