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62 | emilio salgari |
— E venite a cercarlo nelle stanze di Fathima?
— Dal giardino non l’abbiamo veduto uscire, bisogna quindi cercarlo nel palazzo.
— Fathima — disse il vecchio rivolgendosi alla giovinetta che rimaneva silenziosa, col cuore trepidante, ma pronta a tutto. — Conosci e sai dove sia questo ribelle?
— No, signore — rispose ella arrossendo, ma senza esitare.
— Uscite adunque, vili canaglie, — disse il principe con accento minaccioso, — e guai a chi entrerà.
I tre guardiani s’inchinarono profondamente e uscirono più rapidamente di un branco di gazzelle spaventate.
— Signore — disse Fathima respirando lungamente. — Qual motivo ti guida qui?
Il vecchio non rispose. Si era messo a passeggiare per la stanza colle braccia incrociate e la fronte accigliata, come se un grave pensiero lo conturbasse.
La giovanetta rimase silenziosa, solo volse gli occhi verso l’alcova, dove ad intervalli vedevansi tremare lievemente le tende.
— Ascoltami — disse ad un tratto il vecchio principe, sedendosi su di un divano.
— Parla, chè t’ascolto, signore.
— Ho una importante comunicazione da farti e che ritengo ti farà felice.
— E quale mai?
— Mi hanno chiesto la tua mano.
La giovanetta, che si era seduta ai piedi del principe, scattò in piedi come se fosse stata toccata da una molla.
— La mia mano!... La mia mano!... — esclamò, impallidendo ed arrossendo.
— Che cosa trovi tu di strano in questo? — chiese il vecchio guardandola fissamente, come se volesse leggerle nel più profondo del cuore. — Sai che compirai fra breve quindici anni?...
— Lo so, ma io amerei meglio vivere al tuo fianco.
— Rifiuteresti? — chiese il vecchio aggrottando la fronte.
— Sono ancora giovane, signore.
— Non importa: meglio, anzi!
— Ma potrei essere infelice, mentre qui...
— Sai chi è l’uomo che ti chiede?