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il re della montagna 61

giovinetta aveva raccolto uno scudiscio che stava su un divano e si era messa dinanzi a loro.

— Indietro, schiavi — diss’ella con sdegno ardente.

— Padrona — disse Aliabad, guardandola fissamente. — Perchè tanta ostinazione? È forse la prima volta che io entro nelle tue stanze?

— Indietro, ti ripeto.

— No, padrona.

Fathima alzò lo scudiscio, esitò un istante, poi lo lasciò cadere, con quanta forza aveva, sul viso di Aliabad, lasciandovi un solco sanguinoso.

Aliabad mandò un vero ruggito, ma non indietreggiò. La giovanetta, pazza di rabbia, decisa a tutto, pur di salvare Nadir, che ormai amava, rialzò lo scudiscio, ma in quell’istesso momento si udì una voce stentorea a gridare:

— Chi osa provocare lo sdegno di Fathima?

Un vecchio dalla lunga barba bianca, coi lineamenti energici malgrado l’età, gli occhi scintillanti, ma che avevano un riflesso crudele, duro e punto franco, s’inoltrò lentamente colla fronte aggrottata e la destra appoggiata sul calcio di una pistola, la cui canna era artisticamente rabescata e incrostata di perle e di smeraldi.

— Il padrone! — esclamarono ad un tempo Aliabad ed i due servi, inchinandosi umilmente fino a terra e facendosi da parte.

— Voi, signore! — esclamò Fathima, impallidendo e lasciando cadere a terra lo scudiscio.

— Che avviene qui?! — chiese il vecchio con accento terribile e fissando sui guardiani due occhi che mandavano fiamme.

— Principe — balbettò il capo dei servi, senza osar guardarlo in viso. — Cercavamo un ribelle rifugiatosi ieri sera nel vostro giardino.

— Un ribelle?... Qui!... Nel mio giardino!...

— Sì, principe.

— Chi era?

— Un montanaro, uno di quelli che provocarono la ribellione sulla piazza di Meidam e che salvarono quel tal Harum.

— E si rifugiò qui?

— Sì, principe.

— L’avete veduto voi?

— Sì, l’abbiamo veduto scalare il muro del giardino.