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capitolo xii. — il cacciatore di prateria. 101

Il messicano rimase silenzioso alcuni momenti, poi disse, ma come parlando a se stesso:

— Chissà che un giorno i Mendoza non tornino ricchi.

— Dimmi, Ramieroz, — riprese il barone accendendo un sigaro. — Ritornerà più nel Brasile, il marchesino?

— Forse.

— Perchè forse?

— È tornato il capo? Eppure avrebbe riveduto ben volentieri quei luoghi.

— Ma chi glielo impediva?

— Gl’Indiani rispettano molto i loro capi, ma non li lasciano abbandonare la loro tribù.

— Ma di quali Indiani intendi parlare?

— Gli Apaches del capo Grand’Aquila.

— Dove abitano queste pelli-rosse?

— Fra il Rio Chelle e la Sierra Carriso.

— Avete un bel tratto da percorrere.

— Bah! I nostri mustani sono solidi e corrono come il vento, — disse il messicano.

— Quando parti?

— Fra un’ora.

— Ma Almeida non si sveglierà prima di stasera.

— Meglio così. E tu ritorni nelle praterie del Texas?

— No, ritorno in patria, — rispose il barone. — Ormai ho abbastanza da vivere senza continuare l’errante vita dello scorridore. Sono vent’anni che non rivedo il mio paese e voglio andare a morire nel mio vecchio castello, se ancora rimane in piedi.

— Allora separiamoci. Ho fretta di ripartire e di rivedere il gran capo.

Si alzò, andò a frugare in un angolo della capanna e ritornò portando due grosse bisacce.

— Queste sono le trentamila piastre che noi vi dobbiamo, — disse rivolgendosi verso il capitano Nunez. — Questo è il tuo oro... — disse consegnando la seconda bisaccia al barone. — Ed ora partite, e ricevete i ringraziamenti del capo Grand’Aquila. —

I negrieri e il barone vuotarono un ultimo bicchiere di mezcal