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210 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

Si arrestarono subito, soffocando un grido di furore.

Là, a pochi passi, si trovava un accampamento indiano, ma quale accampamento! Non era quello dei dieci rapitori del povero Gaspardo, ma d’una intera tribù. Si componeva di un centinaio di grandi tende, di wigwans, come le chiamano gli indiani, di forma conica, sostenute da un grande numero di pali ed aperte sulla cima per dare sfogo al fumo, disposte in circolo attorno ad una specie di piazza dove brulicavano due o trecento cavalli.

Le tende erano per lo più composte di pelli di bisonte, cucite insieme a pezzi di tela di colori svariati, provenienti senza dubbio da qualche saccheggio. Alcune erano adorne di pitture rosse, che volevano rassomigliare a cavalli, a lupi, a bisonti, o ad orsi; altre invece erano adorne di lunghi pezzi di tela svolazzanti, scoloriti e stracciati.

Proprio nel centro, il marchese ed i suoi compagni, al vivo chiarore di fuochi accesi nell’accampamento, scorsero il palo di tortura, e presso a questo un barile sfondato, incastrato in terra, tappezzato di parietarie, che rappresentava l’Arca del primo uomo, il santuario della tribù; e un po’ più indietro videro due tende più vaste e più belle delle altre, che rappresentavano l’una il gran calli della medicina, ove gli indiani fanno incanti e invocazioni, e dove gli stregoni curano gli ammalati; l’altra, il gran calli del consiglio, dove si radunano i sackems o capi, per deliberare sulle grandi questioni. Attorno ai fuochi uomini e donne, adorni di penne e di anelli e di braccialetti di rame o d’oro e bizzarramente vestiti, mangiavano e bevevano allegramente, mentre le sentinelle, appoggiate alle loro lunghe lance e armate dei tomahwah, scuri formidabili che maneggiano con un’abilità spaventevole, vegliavano per la sicurezza comune.

— Troppo tardi! — esclamò Sanchez, mordendosi le dita dalla rabbia.

Il marchese, che pareva fulminato, non parlava. Girava gli sguardi smarriti su quello strano accampamento, cercando di scoprire il disgraziato Gaspardo.

— Venite, marchese, — disse il messicano, strappandolo da quella muta disperazione. — Chi sa! Forse tutto non è ancora perduto! —