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capitolo iii. — il rapimento. 23

— Scorgi nessuna casa?

— Vedo un gruppo di fabbricati laggiù!

— Che sia la tenuta di San Joao?

— Lo credo.

— Avanziamo con prudenza e andiamo a vedere. —

La scialuppa si mise a salire il fiume a piccolo vapore, mentre un marinaio, postosi a prua, gettava di quando in quando lo scandaglio per accertarsi della profondità dell’acqua. Ben presto si trovò dinanzi ad un gruppo di case, in mezzo alle quali si elevava una più grande, le cui gradinate scendevano fino sulla riva.

Un silenzio perfetto regnava attorno a quelle abitazioni, e nessun lume si vedeva brillare attraverso alle persiane. Tendendo però l’orecchio, il francese udì un sonoro russare, che pareva venisse da una folta macchia di lautana camara, graziosi arbusti che dànno dei fiori variopinti e di un profumo delicato.

— Odi? — chiese rivolgendosi al capo.

— Odo un uomo che russa, — rispose questi.

— Che sia uno schiavo della fazenda?

— Lo credo.

— Va’ a svegliarlo.

— Non si spaventerà?

— Non siamo assassini noi. —

Il capo fece accostare la scialuppa alla riva e balzò a terra. Poco dopo ricompariva tenendo stretto per le braccia un ragazzo africano, senza dubbio un giovane schiavo, ancora mezzo addormentato.

— Imbarcalo, — disse il francese.

Aguiar spinse ruvidamente il negro nella scialuppa, dicendogli con accento minaccioso:

— Bada che se gridi, ti getto ai pesci. —

Quella minaccia non era necessaria, poichè il ragazzo era così spaventato, da non essere in grado nè di gridare nè di opporre la più debole resistenza.

Ad un cenno del signor di Chivry, la scialuppa si scostò dalla riva e rimontò il fiume per cinquecento metri, arrestandosi dinanzi ad un isolotto coperto di palme gigantesche.