Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/188

Da Wikisource.

— 182 —

— Sì.

— Andiamo alla guerra, come ben vedi.

— Contro chi?

— Lo saprai; lascia il giaguaro e vieni.

— Ma noi siamo stanchi.

— I figli della luna sono forti.

— Ma io muojo di fame.

— Si parte, — disse il capo ruvidamente.

Mandò un lungo fischio, servendosi di un osso che pareva un flauto. Tosto due guerrieri si fecero innanzi, conducendo per la briglia due vigorosi cavalli di prateria, dalla testa leggera, i fianchi stretti, le gambe secche e nervose come quelle dei cervi.

— In sella, — comandò il capo.

Cardozo e il mastro, ben sapendo che ogni resistenza sarebbe stata pericolosa, balzarono in arcione. I guerrieri che stavano schierati nella prateria raggiunsero il capo, conducendo con loro il signor Calderon, che montava un mustano dal mantello bianco, adorno di ogni sorta di amuleti.

Due uomini ad un ordine del capo scesero di sella, si caricarono del giaguaro e s’avviarono verso il campo, le cui tende rapidamente venivano sciolte e arrotolate; gli altri si avviarono di galoppo verso il Rio Negro, dove un’altra banda, formata da una cinquantina di uomini che pareva appartenessero ad un’altra tribù, li attendevano.

— Ma dove andiamo noi? — chiese Cardozo, che non si era ancora rimesso dallo stupore cagionatogli da quell’improvvisa partenza.

— Ne so meno di te, figliuol mio, — rispose il mastro, che gli cavalcava vicino. — Pare che sia accaduto qualche cosa di grave, poichè noi andiamo alla guerra a giudicarlo dalle pitture dei nostri uomini.

— Ma contro chi?

— Contro gli uomini del Nord, — rispose una voce dietro di loro.

Si volsero e videro l’agente del Governo, il quale, cosa veramente strana, pareva che fosse di buon umore.