Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/187

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— Ritorniamo?

— Aspetta un momento.

Sciolse una lunga corda di pelle intrecciata, una specie di lazo, legò la belva pel collo e provò a tirare.

— È un po’ pesante, ma verrà — disse. — Andiamo, ragazzo, che ho una fame diabolica.

Si attaccarono tutti e due alla corda e, riunendo le loro forze, si misero a trascinare il carnivoro attraverso la foresta. Dopo parecchie fermate onde dar riposo ai loro piedi, che in causa del taglio aperto dallo stregone si erano gonfiati mettendo sangue, giunsero nella prateria, dove si fermarono di comune accordo, in preda ad una certa inquietudine.

Ad un centinaio di passi dal margine del bosco, una cinquantina di cavalieri pareva li aspettassero. Erano tutti armati di lance, di bolas, di lazos e di coltelli d’ogni forma e dimensione, e dipinti di bianco dalle anche fino al collo. Dinanzi a loro, ad una breve distanza, stava il capo Hauka, pure dipinto di bianco e con una grande penna infissa nella pezzuola bianca che stringevagli la fronte.

— Corpo d’un cannone! — esclamò il mastro. — I nostri pagani colla pittura di guerra! Cosa vuol dir ciò?

— Ehi, marinajo, — esclamò Cardozo. — Che abbiano intenzione di giuocare qualche brutto tiro?

— Non ne so più di te. Vedi il signor Calderon?

— Eccolo là in mezzo. Mi pare che abbiano dipinto anche il povero uomo.

— È carico il tuo fucile?

— A doppia palla.

— Tienti pronto a tutto, figliuol mio, e quando darò il comando fa’ fuoco sul capo.

Hauka, che aveva scorto i due cacciatori, s’avanzava di carriera, spronando vivamente il suo superbo cavallo. Giunto a pochi passi, si arrestò e, rivolgendosi al mastro, disse:

— Sei un brav’uomo.

— Lo credo, capo, — rispose il mastro.

— Conosci le nostre pitture?