Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/204

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— Gambe assai malandate, ragazzo mio, che si rifiuteranno di portarci dopo qualche lega. Ritornati i cavalieri, verremo presi di nuovo e chissà a quale orribile supplizio destinati poi.

— E dunque?

— Aspettiamo per ora.

— Allora propongo di riprendere il sonno, giacchè la notte è ancora oscura.

— Dormiamo pure, Cardozo.

Andarono a cercare alcune coperte, si avvolsero accuratamente per ripararsi dall’umidità, che in quelle vaste pianure è abbondante e sovente causa di seri malanni, e senza più occuparsi dei Patagoni, affaccendati a scorticare i cavalli, la cui carne, seccata al sole, doveva più tardi convertirsi in charquì, attesero il ritorno dei cavalieri lanciati sulle tracce del gaucho.

Passarono parecchie ore senza che si udisse il menomo rumore sulla grande prateria, che le tenebre coprivano. Più volte si alzarono, credendo d’aver udito in distanza il trombone del gaucho tuonare contro i Patagoni, o di udire il galoppo furioso di parecchi cavalli; ma la notte trascorse senza alcun incidente e senza detonazioni che indicassero qualche cosa di grave.

Verso l’alba apparvero finalmente i cavalieri partiti nella notte. Lo sguardo acuto del mastro si fissò subito sul gruppo, e non distinse alcuno straniero fra di loro.

— Dio sia ringraziato! — esclamò, respirando a pieni polmoni. — Anche questa volta i pagani sono rimasti delusi.

— Dove mai si sarà rifugiato il nostro bravo amico? — chiese Cardozo.

— Avrà frapposto delle buone leghe tra il suo cavallo e quelli degl’inseguitori; ma sono certo che tornerà: lo sento.

La truppa rientrò nel campo, affranta per la lunga corsa. I cavalli erano coperti di schiuma e sudavano come se avessero percorso dieci leghe sempre di galoppo.

Hauka, di assai cattivo umore per l’insuccesso dell’inseguimento, diede ordine ai nuovi arrivati di accampare e di