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cielo da oriente ad occidente, come una immensa scimitarra, e nella profondità delle nubi rullò il tuono.

Parve quello un segnale.

Un impetuoso colpo di vento, che pareva fosse uscito dalla fenditura fatta dalla prima scarica elettrica, si precipitò sull’oceano, corrugandone la tranquilla superficie, e scosse ruvidamente il pallone, cacciandolo innanzi a sè con estrema rapidità.

— Ci siamo, — disse Cardozo, che cercava di mostrarsi calmo. — Messer Eolo vuol divertirsi un po’ e ci farà danzare assai bruscamente.

— Purchè non guasti un po’ troppo la stoffa del nostro veicolo, — disse Diego, che esaminava con qualche inquietudine le pieghe dell’aerostato.

— Speriamo che resista, Diego. Ma... toh! Mi pare che ritorniamo...

— Hai ragione, Cardozo, — disse il mastro, guardando la bussola. — Questo è vento d’est e che vento!

— Allora ci spinge verso l’America.

— Ma sì, Cardozo, ci conduce a casa.

— Che la tempesta sia la benvenuta!

— Adagio, figliuolo. Abbiamo un vascello assai fragile e che porta in corpo una vera santabarbara.

— Una santabarbara? Non abbiamo più di cinque chilogrammi di polvere, marinaio.

— Ma abbiamo sul nostro capo non so quante centinaia di litri di gas infiammabile. Se un fulmine vi mette fuoco, siamo tutti spacciati.

— Toh! Non avevo pensato a questo. Bisognava mettere un parafulmine sulla cupola.

— E se mettessimo invece i fulmini sotto di noi? Che ne dici, Cardozo?

— Innalzandoci sopra le nubi?

— L’hai detto, ragazzo. Abbiamo un buon quintale di zavorra da gettare, e, scaricati di questo inutile peso, faremo un bel salto, te lo dico io.

— Ci terremo pronti ad alleggerirci, marinaio, e vedrai che faremo presto. Ma... ecco che il vento torna a cadere.