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128 | emilio salgari |
così grossa da rendere vani i colpi diretti in altre parti del corpo.
A tirargli nella testa non vi era da pensare, poichè le ossa frontali avrebbero infallantemente arrestato il proiettile.
Un momento dopo il tedesco faceva fuoco.
Udendo lo sparo, le femmine, spaventate, voltarono sollecitamente le spalle, nuotando verso la riva opposta.
Il vecchio maschio, invece, aveva mandato un barrito spaventevole, agitando pazzamente la tromba. La palla lo aveva colpito alla giuntura causandogli una ferita, se non mortale, certo dolorosissima.
Con rapidità incredibile attraversò la distanza che lo separava dalla riva, gettandosi impetuosamente verso il nopale che riparava il cacciatore.
Ottone non si era mosso. Aveva cacciata un’altra cartuccia nel fucile e quando si vide addosso il gigante, fece fuoco alla distanza di cinque o sei passi.
L’elefante, colpito sotto la gola e spaventato dalla fiamma che gli aveva quasi abbruciati gli occhi, s’arrestò.
Il tedesco approfittò di quella sosta per scivolare in mezzo alle radici e rifugiarsi dietro al tronco del nopale, mettendosi al sicuro dalla tromba del suo pericoloso avversario.
— Se si avanza, gli scaricherò addosso un altro colpo — disse.
In quel momento udì Matteo gridare:
— Ottone, gli elefanti scappano!
Il tedesco stava per rispondere, quando vide il vecchio maschio rovinare al suolo.
— Morto! — esclamò.
Il pachiderma non era ancora spirato. Ansava rumorosamente, gemeva e agitava debolmente la proboscide, donde perdeva molto sangue.
Il tedesco con una terza fucilata sparatagli in un orecchio pose fine all’agonia straziante della povera bestia. Il colosso s’era rovesciato sul fianco sinistro, cacciando una delle sue zampe nel suolo.