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e di elefanti, una delle più popolose e delle più ricche dell’Ukonongo.

— Che sia stata invece assalita? — chiese Ottone.

— Non mi sorprenderebbe — rispose El-Kabir.

«Mi avevano detto che Nurambo si era messo in marcia contro i possedimenti di Karema.

— Sì — disse Heggia. — Laggiù si combatte; ho udito delle scariche.

— Allora assisteremo al combattimento — disse Matteo. — Il vento ci spinge in quella direzione e passeremo sopra l’incendio.

— Non vi sarà pericolo pel nostro treno aereo? — chiese l’arabo. — Il calore potrebbe far scoppiare i nostri palloni.

— Se sarà necessario ci innalzeremo — rispose Ottone. — E poi con le nostre eliche possiamo deviare a nostro piacimento.

Di chilometro in chilometro che il Germania s’avanzava, l’incendio diventava più visibile. Immense lingue di fuoco si alzavano, sormontate da una cupola di fumo nerissimo e da miriadi di faville.

Da quella bolgia infernale uscivano grida umane e scariche di moschetteria.

— Si combatte — disse l’arabo. — Sono certo che i guerrieri di Nurambo hanno assalito gli arabi di Mongo per saccheggiare le loro case.

— Vedo anche i negri di Nurambo — disse Ottone che aveva puntato un cannocchiale. — Tutta la pianura è piena di punti neri.

— Riusciranno nella loro impresa? — chiese Matteo all’arabo.

— È probabile — rispose questi. — I negri di Nurambo sono bene organizzati e non difettano d’armi da fuoco, e poi sono numerosi come cavallette. I miei connazionali avranno la peggio.

— Li compiangi?

— Un po’ sì — rispose El-Kabir.

— Volete che tentiamo qualche cosa per loro? — chiese Ottone.

— Ve ne sarei riconoscente.