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il treno volante 217


— Gli abbiamo detto che noi siamo figli della Luna e che se non ci ubbidisce faremo divorare dal pallone tutti i suoi sudditi. Credo che sia perfino troppo spaventato per opporsi alla vostra partenza.

— La città è popolosa.

— Cosa importa? La spaventeremo con delle bombe alla dinamite, se sarà necessario — disse Ottone. — Intanto prendete questa rivoltella e non risparmiate le cartucce.

— E questo tesoro, si trova lontano da qui? — chiese El-Kabir.

— A sole cinque miglia, sulla vetta di una montagna — rispose l’inglese.

— Ce lo lasceranno raccogliere?

— Non danno alcun valore a quella polvere d’oro.

— Allora bisogna affrettarsi — disse Matteo. — Forse Altarik non è lontano.

— Chi è questo Altarik? — chiese l’inglese.

— Un arabo che è partito non per venirvi a salvare, bensì per carpirvi il tesoro — rispose Matteo. — Egli è nostro nemico e se si trova qui è capace di perderci tutti.

— È lontano?

— Non si sa.

— Ci affretteremo — disse l’inglese. — Vedo che il sultano è spaventato.

— Ci gioveremo del suo spavento per far presto — disse Ottone, con accento risoluto.

Il sultano si era ritirato in un canto insieme con i suoi ministri e guardava curiosamente gli oggetti rinchiusi nelle cassette, mandando grida di stupore e battendo le mani come un bambino.

In quelle cassette vi erano specchietti, collane di perle, braccialetti di metallo dorato, profumerie e varî giocattoli.

Ottone, tenendo in mano il fucile, gli si avvicinò, dicendogli in arabo:

— Tu hai maltrattato il figlio del Sole e della Luna e meriteresti che il mostro che montiamo divorasse te e tutta la tua tribù.