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il treno volante 67


Avevo con me Heggia e due ascari zanzibaresi, bravi bersaglieri che in molte occasioni avevano dato prove di coraggio.

«Essendomi stati segnalati parecchi animali su di una montagna boscosa, mi decisi di andarvi insieme con i tre servi.

«Ci mettemmo ansiosamente in marcia, di buon mattino, attraversando i boschi che coprivano i fianchi della montagna e giungendo felicemente fino alle ultime vette. Durante quella lunga ascensione non avevamo veduto alcun animale, però avevamo avvertito varie peste.

«Avevo deciso di calare lungo il versante opposto, sospettando che la selvaggina fosse fuggita da quella parte, quando Heggia, che camminava dinanzi a noi, mi fece notare una spaccatura profonda che si internava nel cuore di una rupe enorme, coperta di piante rampicanti.

«— Là dentro si sarà rifugiato qualche animale — mi disse. — Volete che vada a vedere, padrone?

«— No — gli risposi. — Questo rischio voglio serbarlo a me.

«Ordinai ai due ascari di nascondersi dietro le rocce e ad Heggia di collocarsi dietro di me: poi mi spinsi risolutamente in direzione della caverna.

«M’ero avanzato di pochi passi, quando scorsi dinanzi a me, stesa al suolo, una forma cupa che dapprima mi sembrò indistinta e tosto non tardai a riconoscere: era un superbo leone il quale riposava placidamente nella sua tana.

«Non era quello momento di riflessioni, nè di esitazioni. Si trattava di agire prontamente o di rimetterci la pelle; e alla mia ci tenevo ancora.

«La fiera era sdraiata a guisa di sfinge, col corpo tutto disteso, la testa sporta innanzi, con la criniera un po’ rialzata. Pareva in agguato; evidentemente ci aveva già fiutati da tempo e si teneva pronta a piombarci addosso.

«M’arrestai immobile, perchè le mie membra eremo agitate da un tremito convulso che non riuscivo a vincere e che mi avrebbe impedito di prendere buona mira.