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il treno volante 73

Pareva che il dolore lo avesse fatto impazzire e gli avesse fatto, perfino, dimenticare la presenza del suo feroce avversario.

Ma il sentimento della vendetta non tardò a manifestarsi nel bestione. Rammentandosi della macchia di bauchinie, vi si scagliò contro a testa bassa, con rabbia estrema, sfondando a colpi di corno le piante e calpestandole.

Il leone, snidato da quell’improvviso assalto, per la seconda volta balzò addosso al rinoceronte cercando di dilaniargli il cranio.

Ruggiva orrendamente ed aveva la criniera irta. I colpi d’artiglio si succedevano con rapidità incredibile, però le unghie si smussavano contro la pelle dura, come se questa fosse di osso.

Il rinoceronte, non riuscendo a gettare a terra l’avversario, talmente la fiera gli si era aggrappata al dorso, forse spaventato, prese finalmente il partito di darsi ad una fuga disperata.

Si scagliò in mezzo alla macchia e scomparve insieme col suo avversario, mandando rauchi muggiti.

— Se n’è andato — disse l’arabo.

— Che non ritorni più? — chiese Matteo che non pareva scontento di averlo veduto fuggire.

— A quest’ora sarà molto lontano.

— Ed il leone? — chiese il tedesco.

— Avrà approfittato della prima macchia per abbandonare la sua cavalcatura e nascondersi. Avrà compreso che le unghie poco potevano contro la corazza.

— E noi non riusciremo a tirare un colpo?

— Non è ancora spuntato il giorno — disse l’arabo. — Tra poco vedremo degli animali accorrere verso il fiume.

— Udite il riso di una iena?

— Sì, l’odo.

— Dietro le iene verranno anche le antilopi e le gazzelle. La cena ce la guadagneremo, non abbiate timore.

— Silenzio — disse Matteo. — Odo stridere le foglie secche.

— Che sia il leone che torna? — chiese il tedesco.

— Non si sarà fermato così vicino — rispose l’arabo.

— Vi è qualcuno che si avanza — disse Matteo.