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106 Capitolo Decimo.

— Ma perchè avete lasciato l’isolotto, signore?

— Per venirti a raggiungere e soccorrere. Non hai udito i miei spari?

— No, signore.

— Ho scaricato più di dieci volte il mio archibugio, poi non udendo alcuna risposta da parte tua, mi ero deciso di tentare la traversata della laguna e forse vi sarei riuscito se i caimani non mi avessero costretto a rifugiarmi più che presto su questo isolotto. Il mio galleggiante, formato da sole canne e da foglie mi reggeva a malapena e avevo le gambe sempre in acqua.

— Ho trovato la vostra zattera.

— Basta colle chiacchiere, Garcia e pensiamo alla cena. Mi racconterai le tue avventure quando avremo riempito il ventre. —

Gettò sul fuoco che stava per spegnersi, dei rami secchi che aveva raccolti sotto le piante e delle canne, ravvivandolo e si fece condurre alla zattera dove la testuggine, inconscia della triste sorte che l’aspettava, dormiva profondamente.

La sollevarono con grande fatica, essendo pesantissima, la decapitarono per non farla soffrire troppo e la gettarono, rovesciata sul dorso, in mezzo alla brace.

— Povera bestia! — esclamò Garcia, udendo le carni a friggere. — Quale ingratitudine da parte nostra, signore!

— Il ventre non ragiona, amico mio, — rispose Alvaro che fiutava avidamente il profumo squisito che esalava il gigantesco arrosto.

— Ah! Dimenticavo le mie zucche! —

Andò a prendere le due grosse frutta e le gettò ai piedi di Alvaro.

— E tu le chiami zucche queste, — disse il portoghese. — Sono frutta degli alberi del pane, mio caro, che surrogheranno i biscotti che ci mancano. Ne ho assaggiate ancora e ti posso dire che arrostite sui carboni sono squisite.

— Toh! Vi sono anche delle piante che producono dei pani! — esclamò il mozzo. — Fortunato paese dove si può fare a meno dei fornai. —

Alvaro levò la corteccia e tagliò la polpa in larghe fette che depose sui carboni.