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Un dramma nella foresta 115

In quel momento il cebo si lasciò cadere a piombo su una delle più larghe foglie, senza abbandonare il piccino. La piccola zattera si sommerse un po’ sotto l’urto, poi risalì a galla mentre la scimmia festeggiava la sua vittoria con un lungo fischio.

La corrente che era piuttosto rapida la trasportava verso la riva opposta.

Il giaguaro che vedeva sfuggirsi la preda aveva mandato un furioso miagolio. Staccò le unghie dalla corteccia poi si slanciò risolutamente in acqua.

Aveva calcolato male la distanza che lo separava dal cebo. Invece di piombare sulla piccola zattera cadde due passi più indietro e si sommerse sollevando un largo sprazzo di spuma.

— È rimasto burlato il ghiottone! — esclamò Garcia, felice di quell’inaspettato scioglimento.

— Adagio, mio caro, — rispose Alvaro. — Se quell’animale si è gettato in acqua, vuol dire che è un nuotatore e la scimmia non è ancora giunta alla riva. —

In quel momento alla superficie del fiume si produsse un rigonfiamento di spuma, poi si udirono risuonare, strozzati, gli ululati della belva misti a dei ruggiti stridenti che parevano lanciati da qualche altro animale.

— Pare che la belva sia alle prese con qualcuno, — disse Alvaro, chinandosi sulla riva per meglio osservare.

Ad un tratto una coda, o meglio un cilindro nerastro, emerse dalle acque, ripiegandosi tosto, quindi apparve il giaguaro ma non era più libero.

Un serpente enorme lo aveva avvolto fra le sue spire e così strettamente da soffocarlo.

Era un sucuriù chiamato anche boa anaconda, il più enorme dei rettili brasiliani, raggiungendo talvolta una lunghezza di tredici a quattordici metri e che vive in fondo ai fiumi.

Quantunque non sia velenoso, possiede al pari dei pitoni, una tale forza da soffocare facilmente anche un bue fra le sue spire.

Sentendosi forse urtare dal giaguaro che nel salto doveva essere sceso fino in fondo al fiume, lo aveva prontamente afferrato.

Il rettile ed il carnivoro, entrambi formidabili, lottavano con furore ora salendo a galla ed ora sommergendosi.

Il primo continuava a stringere la preda cercando di fracassarle le costole e la spina dorsale; il secondo, pazzo di dolore lavorava ferocemente di denti e d’artigli lacerando la pelle dell’avversario.