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116 Capitolo Decimo.

Il sangue arrossava l’acqua, ma il boa non allargava i suoi anelli, certo della vittoria finale.

Per alcuni istanti furono veduti dibattersi alla superficie e furono uditi i miagolii disperati dell’uno ed i fischi dell’altro, poi entrambi scomparvero in un largo cerchio di sangue per non più riapparire.

— Perdinci! — esclamò Alvaro. — Ecco dei nemici dai quali noi dovremo, d’ora innanzi, ben guardarci.

— Che sia morta quella tigre, signore? — chiese Garcia che era assai pallido.

— Lo suppongo, e anche quel serpentaccio non deve trovarsi troppo bene, ammesso che sia riuscito a soffocare l’avversario e dovremo approfittare per attraversare subito il fiume.

— E se ve ne fossero degli altri?

— Sarebbero accorsi a prendere parte alla lotta. Ah! E la scimmia?

— Ha preso terra ed è scomparsa nella foresta.

— Sbrighiamoci finchè il boa è occupato a divorarsi il carnivoro o sta spirando. —

Tagliarono frettolosamente alcuni bambù, li legarono alla meglio con delle liane e una mezz’ora d’ora dopo si trovarono sull’altra riva, sbarcando nel medesimo luogo ove la scimmia si era messa in salvo.

CAPITOLO XI.

Nella foresta vergine.

Anche sulla riva opposta la foresta continuava e non meno folta di quella che i naufraghi avevano attraversata poco prima con tanta fatica.

Era anzi più intrecciata essendo composta d’una infinita varietà di piante che crescevano confusamente le une accanto alle altre, strette da liane smisurate e da arbusti e da radici enormi che sorgevano da tutte le parti non trovando più posto nel sottosuolo, convertito ormai in una massa fibrosa che doveva avergli dato la consistenza quasi della pietra.

Allacciati gli uni agli altri dalle sipo, dalle jacatara, dalle barbe dei pao e da quelle strane aroidee che hanno le radici in aria e che poi lasciano pendere fino al suolo, vi erano cedri