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168 | Capitolo Diciassettesimo. |
Mancava qualche ora al tramonto del sole, quando finalmente scorsero, attraverso i tronchi degli alberi ed i cespugli, una superficie luccicante.
— Una savana sommersa! — esclamò allegramente il marinaio. — Ecco una vera fortuna! Signor Viana, noi potremo finalmente riposarci e anche cacciare. —
Affrettarono il passo e giunsero poco dopo sulle rive d’una vasta palude, dalle acque nere ed ingombre di piante palustri e di minuscoli isolotti che altro non dovevano essere se non banchi melmosi coperti di erbacce grasse.
Ad una grande distanza si scorgeva la foresta che si stendeva sulla riva opposta.
— Che cosa contate di fare ora? — chiese Alvaro al marinaio, il quale osservava attentamente gli isolotti che emergevano in gran numero.
— Rifugiarci su una di quelle terre e attendere colà che gli Eimuri si siano allontanati, — rispose Diaz.
— E chi ci condurrà? Non vedo alcuna barca io.
— Una zattera si costruisce presto. Non è ciò che mi preoccupa. Dubito della solidità di quegli isolotti. Temo che non abbiano consistenza e vorrei accertarmene presto. Costruiamo per ora una piccola zattera, capace di sostenermi e lasciate che vada ad esplorare la palude.
Il sole sta per tramontare e gli Eimuri si saranno anche essi arrestati e prima di domani non giungeranno qui.
— Temete che non possiamo trovare un palmo di terra solida? — chiese Alvaro.
— È un po’ difficile scoprirne nelle savane sommerse. Ve ne sono molti però degli isolotti e non dispero.
Se tardassi a tornare, non inquietatevi per me. Dormite tranquilli senza preoccupazioni. Conosco le savane e i jacarè non mi fanno paura.
— Vi daremo uno dei nostri fucili e munizioni sufficienti, — disse Alvaro.
— Grazie, non rifiuto un’arma da fuoco. —
Approfittando del brevissimo crepuscolo, tagliarono un certo numero di grossi rami ed un paio di giovani alberi e servendosi delle liane costruirono alla meglio un galleggiante, sufficiente a sostenere un uomo.
Prima però d’imbarcarsi, il marinaio, che era veramente in-