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192 | Capitolo Ventesimo. |
— Se lo ammazzino loro, se ne avranno il coraggio.
— E dopo, signore?
— Fuggiremo e riprenderemo la nostra vita randagia, finchè avremo ritrovato il marinaio o la sua tribù.
— Signor Alvaro, mi trema il cuore.
— Se rimanessimo qui, un dì o l’altro questi selvaggi finirebbero per divorarci. Un arrosto di carne bianca li tenta e mi stupisco che ci abbiano finora risparmiati.
Non lasciamoci illudere dalla nostra carica che non ci offre alcuna sicurezza.
— Che cosa avete intenzione di fare?
— Non lo so ancora, ma qualche cosa accadrà ed il capo non tornerà più vivo fra i suoi.
Sono deciso a tutto o... —
Una detonazione improvvisa, che rimbombò sulla piazza, lo fece sobbalzare. Grida selvagge, improntate del più profondo terrore, echeggiavano da tutte le parti.
Alvaro e Garcia si erano precipitati verso la porta.
Dei guerrieri fuggivano a rompicollo nascondendosi entro le capanne o rifugiandosi nella foresta, mentre in mezzo alla piazza, ancora circondato da una nuvola di fumo, giaceva un cadavere.
— Hanno scaricato il fucile! — esclamò Alvaro. — Vi è un morto laggiù.
— Che incolpino ora noi della disgrazia, signore? — chiese Garcia.
— Vedo il fucile presso quel morto e anche il bariletto delle munizioni ed i sacchetti delle palle. Approfittiamo della fuga dei selvaggi per impadronircene.
Con un’arma da fuoco nelle mani, potremo tener testa a questi bruti. —
Seguito dal mozzo si diresse verso il centro della piazza dove giaceva il cadavere e s’impadronì del fucile caricandolo precipitosamente.
L’indiano che aveva fatto partire la scarica, era stato ucciso sul colpo. Aveva ricevuto la palla in un occhio e la scatola ossea era stata attraversata dal grosso proiettile, uscendo dietro la nuca.
Vedendo comparire i due pyaie, alcune teste cominciavano a mostrarsi, ma nessuno osava ancora uscire.
Quello sparo e la morte fulminante del selvaggio, doveva aver