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206 Capitolo Ventunesimo.

— Ah! Diavolo! — brontolò Alvaro. — È un animale che ha gli occhi d’un gatto. Sarà qualche felino e chissà, una di quelle bestie che abbiamo veduto presso quel fiume.

Cattivo vicino, se è affamato. —

Senza voltarsi e senza lasciare il fucile che aveva già puntato verso quei due punti luminosi, con un piede urtò il mozzo dicendogli:

— Su, Garcia... svegliati. —

Il ragazzo che dormiva con un solo occhio, da vero marinaio, fu pronto ad alzarsi.

— Che cosa c’è signore? — chiese. — Un altro liboia?

— Pare che sia un grosso gattone, — rispose Alvaro.

— Ah! I brutti occhi! — esclamò il mozzo. — E sono fissi su di noi, signore.

— Ma non osano avanzarsi.

— Voi che siete un valente tiratore, mandate una buona palla a quella bestia.

— Per attirare l’attenzione degli Eimuri? E chi mi assicura che non stiano cercandoci? No, almeno fino a che quella bestiaccia non ci assale. —

La belva, giacchè doveva essere tale, conservava una immobilità assoluta, senza stornare gli sguardi dai due naufraghi.

Passarono così parecchi minuti, poi i due punti luminosi improvvisamente scomparvero e nel silenzio della notte s’udì a echeggiare sinistramente un rauco miagolìo che terminò in una specie di ululato che fece raggrinzare la pelle al mozzo.

Per alcuni istanti si udirono le foglie a scrosciare, poi ogni rumore cessò.

— Che abbia avuto paura del vostro fucile, signore? — chiese Garcia.

— Certo, qualcuno lo avrà avvertito che io sono l’Uomo di fuoco, — rispose Alvaro, ridendo. — La mia fama è giunta perfino agli orecchi delle belve.

— Il fatto è che quell’animale se n’è andato.

— Purchè non cerchi invece di sorprenderci? Noi però non passeremo accanto a quel macchione, anzi volgeremo le spalle.

La luna s’innalza. Andiamo, Garcia. Mi preme sapere che cosa è avvenuto del capo degli Eimuri. —

Stettero qualche istante in ascolto e non udendo più alcun rumore, lasciarono l’albero, avviandosi lentamente verso il luogo dove il liboia aveva assalito il capo.